Un brillante osservatore delle vicende dei [dK] qualche giorno fa ha fatto un commento relativo al fatto che la band, noi, avesse a disposizione della birra durante una session. Il brillante osservatore ha commentato la cosa esprimendo la valutazione che uno yogurt intero ben fermentato sarebbe stato più idoneo.
Che dire, mio caro brillante osservatore: hai ragione.
Il punto è che ci sono delle resistenze da superare, che sono insormontabili.
Nel senso che, o mi butto in un progetto solista, o mi vedo costretto ad assumere moderate (possibilmente), dosi di orzo.

In ogni modo, nel percorso artistico dei [dK] è previsto uno switch nel drink istituzionale.
Ci stiamo lavorando, ed evidentemente ci vuole tempo (resistenze).
L’obiettivo, ambizioso, è passare dalla birra al White Russian.
Il White Russian è il drink definitivo dei [dK] del futuro.
Il White Russian è il miglior drink in assoluto in termini nutrizionali.
La differenza la fa la panna.
I grassi saturi aiutano il fegato nello smaltimento dell’alcol.
I grassi saturi smorzano il carico glicemico.
Meglio se la panna è acida, cioè se derivata da latte crudo o, in alternativa, se derivata da latte pastorizzato ri-fermentato (la Crème Fraiche).
E’ meglio in termini di digeribilità e di ricchezza nutrizionale.
Anche il Batida de Coco potrebbe essere un buon drink, ma me lo devo studiare.
Insomma ogni cosa che abbini un grasso saturo alla componente alcolica del drink, e che riduca la componente di zucchero e/o, peggio, di fruttosio.
I cocktails alla frutta sono i peggiori.

Comunque, è evidente che anche il White Russian rientra nello spettro di soluzioni sub-ottimali.
Tuttavia il sub-ottimale è spesso una buona soluzione in un contesto di relativismo.
Certo è che, potendosi esprimere in modo nutrizionalmente disinibito, the master of the drinks sarebbe il Kumiss.

Il discorso è questo.
Fino a qualche anno fa si riteneva che il ciclo vita di una rock star fosse di circa 20 anni.
Dai 20 ai 40.
Un po’ perché dopo 20 anni il pubblico si disaffeziona, un po’ perché dopo i 40 uno degrada fisicamente, mentalmente e in termini di slancio artistico e comunicativo in generale.
Cioè si riteneva che dopo i 40 anni un artista non avesse più voglia e soprattutto che il pubblico non fosse disposto a ritenere credibile ed ispirata una rock star.
Insomma una rock star dev’essere relativamente giovane e forte, magari decadente ed autodistruttiva, ma ancora immune dai segni del tempo.
Quindi, chi metteva su una band, metteva in conto di godersela fino a 40 anni, e poi di rifugiarsi in una clinica per divi di Holywood, magari per chiudere in bellezza con un suicidio assistito.

Invece non è così che va.
Non è andata così.
Il limite dei 40 anni è stato un grosso errore di valutazione.
Gli artisti che fanno le grandi tourné oggi sono i nonni.
Gli Iron Maiden, Buce Springsteen, Bob Dylan, i Metallica.
E la gente ci va della grossa.
Gli ultrasessantenni che non fanno più concerti, non li fanno più perché sono morti o perché sono in carrozzina.
Ma non è un problema di pubblico.
Non è un problema di audience.
Non è un problema di credibilità artistica o di physique du role.
Il pubblico si beve la rock star anche se ha sessantanni e il Carefree Salva Slip sotto il pantalone di pelle.
Un Biagio Antonacci che si tiene bene, e che decomprime lo stress ciulando come un ossesso, riempirà i palazzetti fino a 120 anni.
Non è un preblema di pubblico.
Il pubblico si beve anche i vecchi.

Io pronostico che i [dK] avranno un successo commerciale clamoroso intorno al 2035, quando le macchine avranno superato il Test di Turing da qualche tempo, e quando diverrà pratica diffusa addizionare il cervello umano con innesti di intelligenza non biologica.
Cioè quando sarete più intelligenti ascolterete la musica dei [dK].
Non voglio calcolare quanti anni avremo nel 2035, ma bisogna arrivarci.