Dopo la recensione del disco dei Depeche Mode e del concerto di Lana Del Rey, chiudo la trilogia delle recensioni facendo quella del nuovo disco dei Nine Inch Nails.
Però stavolta voglio fare le cose fatte per bene, vale a dire fare come fanno i critici professionisti: valutare un disco senza averlo realmente ascoltato.
In realtà sto barando un po’, perché ho ascoltato tutte le anteprime su Itunes: 60 secondi di ogni brano, mentre ritiravo i panni stesi.
Ma alla fine credo che pure loro facciano così, almeno per farsi venire delle idee.
Parlando seriamente, questa vicenda è molto triste, per il genere umano intendo.
Non stiamo parlando di Bon Jovi, o degli Aerosmith, o di Katy Perry.
Bob Jovi, Aerosmith e Katy Perry sono musicisti “normali”, che fanno intrattenimento, fanno dei dischi, fanno delle canzoni: a volte gli escono bene, a volte meno bene, fa parte della naturale dinamica delle vicende umane.
Viceversa, qui, parliamo di un musicista che è stato in grado di donare al mondo un’opera d’arte abissale.
Evidentemente sto parlando del doppio disco The Fragile (Halo Fourteen) del 1999.
Dopo che uno fa una roba del genere, è evidente che non può più vivere tranquillo, artisticamente parlando.
Chi dovesse leggere questa recensione a questo punto penserà che sono solo un povero coglione nostalgico, incapace di ampliare la prospettiva al di là del proprio piccolo ego, che lo induce dunque a percepire il passato indistintamente migliore del presente.
Ebbene, caro lettore delle recensione: non è così.
Due cose sono sorprendenti e tristi in questa vicenda.
La prima è che un uomo possa perdere completamente talento, ispirazione, idea, estetica, metodo, odio e disperazione.
La seconda è che la gente, in particolare quella che compone l’audience dei Nine Inch Nails, non se ne accorga, o che non se ne dispiaccia.
Il lettore della recensione penserà: con tutti i merdoni planetari in ballo di questi tempi, uno dovrebbe rattristarsi perché Trent Reznor sbaglia un disco?
Ebbene, caro lettore delle recensione: si.
Il punto è che è tutto collegato.
Il punto è che voi non osservate mai le cose a livello di sistema.
L’incapacità di discernere la bellezza dalla brutalità è il salto di paradigma che innesca giorno dopo giorno la tendenza autodistruttiva dell’essere umano, come individuo e come elemento del sistema.