Niente ho deciso di ritornare a scrivere il blog perché noi altri dei [dK] stiamo lavorando a un disco nuovo, quindi bisogna tirar su un po’ di bordellàio mediatico intorno a noi stessi per provare a pilotare interesse sulla nostra musica.
Avevo smesso perché mi ero scàzzato.
Mi ero impegnato a scrivere la recensione più autorevole dell’universo di Ultraviolence di Lana Del Rey, ma poi non l’avevo scritta per eccesso di complessità, e quindi mi ero scàzzato.
Però adesso lo scenario è cambiato, e allora ricomincio dalla recensione più autorevole dell’universo di Ultraviolence di Lana Del Rey.

Contesto: io ascolto musica con cuffie In Ear col mio dispositivo mobile, in giro, per la strada, sui pullman, dal verduriere.
Ho una playlist di tipo 500 pezzi, frutto di una pressione selettiva durata 8 anni, che mi vengono proposti in modalità shuffle (a caso).
Occasionalmente il software del mio dispositivo mobile mi propone un brano di Lana Del Rey, ovviamente.
Quando arriva un pezzo di Lana Del Rey scatta qualcosa.
Quello che è fondamentale e distintivo della musica di Lana Del Rey è l’incipit, cioè come mi comincia il pezzo.
L’esordio proprio.
Quando mi arriva in cuffia un pezzo di Lana Del Rey generalmente smetto di fare quello che sto facendo.
Mi fermo, a volte mi accascio sulle ginocchia, diverse volte ho perso il pullman.
Poi, dopo circa 20 secondi, mi riprendo: devo superare l’incipit.

Grazie alla musica di Lana Del Rey ho apprezzato (in senso matematico) il concetto di contemplazione.
Grazie alla musica di Lana Del Rey ho capito perché gli arabi a un certo punto si buttano per terra, come colpiti da un’urgenza più alta.
Evidentemente gli arabi non si buttano per terra a pregare perché gli arriva in cuffia un pezzo di Lana Del Rey (almeno non tutti), però la dinamica potrebbe essere la stessa: qualcosa di evidentemente superiore che interviene nella quotidianità, invadendola un po’ ma dandole una dimensione leggermente più cosmica e preziosa.
Comunque, il punto fondamentale qui è semplice e cruciale: se la gente ne capisse veramente di musica, al mondo non ci sarebbe violenza, intolleranza, prevaricazione.
E infatti il disco si chiama Ultraviolence: “ultra” significa “superamento”, più che “eccesso di”; anche Ultra dei Depeche Mode era inteso come “superamento”.
L’inadeguatezza degli umani nel riconoscere la bellezza è l’innesco primario di tutto il merdàio che c’è in giro, trasversalmente, da mafia capitale agli africani che si pigliano a macetate.

Veniamo alla recensione.
Ricordo la prima volta che ho ascoltato la musica di Lana Del Rey: ero in un locale a Torino, si chiama Santa Polenta, stavo mangiando la polenta alla veneta, cioè polenta, merluzzo stufato e un bordellàio di burro fuso.
(To Be Continued)