Ogni volta che noi [dK] rilasciamo un disco nuovo viviamo una fase di ansia ed inquietudine.
Noi siamo dei musicisti valorosi, mi spingo a dire, nel nostro genere e nel nostro piccolo.
Qualsiasi musicista si esprime nella prospettiva che l’umanità (almeno una piccola parte di essa) si accorga della sua musica.
Quando un musicista crea qualcosa di proprio e di originale, lo fa avendo l’aspettativa (al limite inconscia) che la sua musica possa fare una piccola differenza nella vita delle persone (verosimilmente una differenza buona).
La mia idea è che senza una prospettiva di condivisione non c’è creazione.
Nel fare musica e nel fare canzoni c’è uno slancio evangelico, c’è una tensione verso la cosmicità.
Evidentemente il pericolo è che alla gente la tua musica non interessi proprio per niente, che non la ascolti o che, pur ascoltandola, non ne venga in alcun modo scalfita.

Il modello di business fondato sulla somministrazione della musica pop è profondamente cambiato, oggi.
Fino a qualche tempo fa l’industria discografica controllava integralmente la musica da somministrare alla gente attraverso il governo della radio e della tv, che erano di fatto gli unici canali istituzionali di diffusione massiva degli ascolti.
Oggi in linea teorica esistono altri canali, sul Web, che possono essere utilizzati idealmente alla pari da chiunque: Facebook, Spotify, Soundcloud, Bandcamp.
Quindi il punto è questo qui: se la musica della Pop Star di Riferimento (PSR) la ascoltano 1.600.000 persone e la musica dei [dK] la ascoltano 16 persone, il problema è intrinseco alla musica dei [dK], perché, almeno sul Web, il livello di visibilità è equivalente.

Una volta il musicista frustrato poteva fare congetture del tipo
‘io sono un artista meraviglioso, il problema sta nell’industria discografica che non ha la sensibilità e la lungimiranza di investire su di me per aprirmi uno spazio di visibilità sui canali istituzionali, gli unici: radio e tv’.
Era molto rassicurante avere la possibilità di ritenere che la gente sarebbe impazzita per la tua musica, se solo avesse avuto modo di ascoltarla; e che il vero e unico fattore limitante fosse l’ottusità dell’industria discografica.
Ebbene oggi molte persone ce l’hanno il modo di ascoltarla la tua musica, ma non lo fanno, e se per caso lo fanno, probabilmente non lo rifaranno mai più.
Oggi lo scenario è radicalmente cambiato e ci costringe a riflettere, a noi musicisti frustrati.
Analizzando la questione con un minimo di oggettività e di metodo scientifico, io artista frustrato devo essere pronto ad accettare il fatto che la proposta della Pop Star di Riferimento (PSR), e nella proposta includo anche il carisma personale della PSR, valga 1.000.000 di volte quella dei [dK], indipendentemente dal fatto che la PSR acceda anche ai canali istituzionali: TV e Radio.
Se i [dK] non riescono a capovolgere la situazione e la gente continua ad ascoltare esclusivamente la PSR, la colpa è unicamente di quei poveri coglioni dei [dK], punto.

Il modello di business si è capovolto perché siamo passati dalla dittatura dell’industria discografica alla democrazia dei plays degli utenti su Youtube e dei likes degli utenti di Facebook.
L’industria anni fa decideva chi produrre (perché fare i dischi a livello professionale era costoso) e chi esporre al pubblico (perché i canali di fruizione della musica erano limitati e presidiati): dunque era un modello statalista, in cui lo stato governava la produzione e determinava gran parte del gusto della gente. Alcune etichette avevano addirittura la mission di produrre e promuovere musica di nicchia, artisticamente più alta, educando quasi il gusto del pubblico: che tenerezza.

Oggi chiunque ha la potenzialità economica di produrre un disco; chiunque ha la potenzialità di realizzare un video (anche senza del girato), metterlo su Youtube ed ottenere milioni di plays: da una grande popolarità online nascono le occasioni di business e il modello entra a regime, bypassando completamente le vecchie dinamiche discografiche.
Oggi la musica non si compra (non si comprano i dischi), oggi la musica si clicca.
Quindi il modello di business oggi è tipicamente consumista, vale a dire basato sul gusto del popolo.
Oggi il modello di business è tipicamente bottom-up (prima era top-down), quindi democratico, completamente democratico.
L’industria non è più al governo, l’industria è stata annichilita e ciò che ne resta si aggrappa alle vecchie glorie e si compra dalla TV le nuove pop star già mature cresciute in serra (i talent show).
L’industria discografica non determina più una minchia.
Il popolo decide.
Il popolo clicca.
Avanti popolo.
Andiamo a comandare.
Mi verrebbe da pensare che stavamo meglio quando stavamo peggio, ma il post perderebbe l’attitudine serenamente analitica che invece vorrei mantenesse.
Credo di aver superato anche la fase in cui il problema è che “la gente non capisce un cazzo di musica”.
Ritenere che la gente non capisca un cazzo di musica è un errore grave: il tipico errore da contraddizione in termini.
TO BE CONTINUED