Risposta (R)
non vorremmo, ma accade >
è qualcosa di patologico, tipo l’alcolismo, fumare crack o qualsiasi altra dipendenza >
abbiamo cercato di smettere, sappiamo che non serve a nessuno, non serve al nostro pubblico, non serve al nostro non-pubblico, non serve a noi stessi >
però lo facciamo >
non c’è una prospettiva di utilità o di convenienza in tutto questo >
accade
D
anche se non riuscite ad astenervi dal realizzare musica, potreste sempre tenervela per voi, cosa vi spinge a manifestarla agli altri?
R
in effetti questo è un punto controverso >
non lo so >
forse è una forma di egocentrismo >
se vivessi su un’isola deserta non concepirei neanche l’idea di scrivere una canzone, l’atto di scrivere una canzone non esisterebbe senza una prospettiva di condivisione >
nello scrivere canzoni e nel creare musica c’è una componente di dono verso gli altri, c’è l’ambizione di voler fare una piccola differenza nella vita delle persone
D
dunque si tratta proprio di egocentrismo: non ti viene il dubbio che il tuo così detto dono sia qualcosa di cui gli altri non hanno bisogno?
R
si >
ed è più di un dubbio: a livello razionale è una certezza, tuttavia a livello emotivo è qualcosa che tendo ad ignorare, o quanto meno a sottovalutare, perché altrimenti smetterei di fare musica
D
quindi, se ho capito bene, da una parte vorreste smettere di suonare, ma dall’altra mentite a voi stessi pur di procurarvi gli stimoli che servono per continuare a fare musica
R
è esattamente così
D
molto bene, delineato il contesto, adesso parliamo di questo materiale nuovo
R
qualche tempo fa scrissi una specie di romanzo breve, un esperimento, l’ho fatto con l’intenzione precisa di farci una colonna sonora >
in realtà è un romanzo scritto per essere trasposto in un film: in questo senso parliamo di colonna sonora >
più specificatamente, il nuovo disco dei [dK] è completamente ispirato ad una storia e ai protagonisti di quella storia
D
quindi si tratta di un concept?
R
qualcosa di più: i protagonisti della mia storia sono tre musicisti, che vivono in un futuro prossimo, e le loro canzoni, concretamente, costituiscono il nuovo disco dei [dK]
D
voi tre proiettati nel futuro quindi?
R
no i tre protagonisti della storia non hanno nulla a che vedere con noi tre, nel senso che sono molto piuffighi, o quanto meno più interessanti
D.
parlami di loro
R.
allora questi tre individui sono i componenti di quello che nel mio immaginario di musicista dovrebbe essere un supergruppo >
un super gruppo deve esistere nel futuro, un futuro non lontano, ipotizziamo tra 20 anni >
un super gruppo dev’essere composto da giovani adulti, ipotizziamo tre, di circa 25 anni >
i componenti di questo super gruppo devono essere piuttosto diversi tra loro, ma devono avere un legame forte: qualcosa di apparentemente labile e inspiegabile, ma che in realtà agisce a livello molecolare, a livello di sistema >
uno di loro deve essere dotato di sensibilità estrema e umanità profonda, magari una donna >
un altro deve essere assurdamente egocentrico, carismatico, grottesco, inquieto >
l’altro ancora dev’essere un genialoide, uno capace di avere grandi visioni, un maniaco del controllo >
evidentemente si deve trattare di tre artisti, di tre persone complicate, di tre persone in qualche modo danneggiate
D.
quindi, in termini pratici, avete finto di essere altre persone per realizzare questo disco?
R.
si, invecchiando si fatica sempre di più a parlare si sé, in particolare se il rapporto con l’umanità non è buono, quindi estraniarsi e interpretare qualcun altro è qualcosa che ti toglie vincoli e che ti dà stimoli
D.
e il sound, è un sound futurista dal momento che parliamo di futuro?
R.
no non credo che tra 20 anni la tecnologia potrà dare ulteriori svolte al modo di fare musica >
già oggi molti musicisti evitano deliberatamente l’utilizzo di certa tecnologia perché ritenuta distorsiva di un naturale processo creativo >
riguardo al suono del futuro o al suono del passato, ritengo che queste siano abbastanza delle stronzate, specialmente oggi, e specialmente domani >
aveva senso parlare di queste cose all’epoca dei Krafwerk, in un momento in cui una novità tecnologica o metodologica poteva realmente incidere sui processi creativi e realizzativi >
quello che ho immaginato io, in particolare immedesimandomi in tre ragazzi quasi adulti in un’era pre-collassemento dei sistemi, è che il modo di esprimersi sarà molto più essenziale, senza congetture e senza ridondanze: testi minimali, sinceri e diretti, pochi suoni ma buoni, beat incisivi e riff fulminati
D.
in questo futuro che immagini la musica tornerà ad essere importante per le persone, vale a dire qualcosa al di là dell’intrattenimento, sei ottimista in questo senso?
R.
sicuramente ho immaginato un futuro in cui la musica tornerà ad essere importante per le persone, proprio per avere il piacere di creare musica importante per un’audience che oggi non esiste >
senza questa specie di invenzione narrativa non avrei scritto delle canzoni nuove, neanche immaginando di essere qualcun altro
D
voi stessi avete definito il vostro penultimo disco, Method and Hate, un kolossal; spiegaci oggi cosa intendevate e, invece, come potreste definire il disco appena uscito
R
Kolossal vuol dire che è molto serio, ambizioso, elaborato e poco rassicurante >
Milliseconds in Between invece è un disco cinematografico, relativamente elettronico, fatto di canzoni semplici ma incisive, ed è sentimentale, in fondo l’hanno realizzato dei ragazzi di 25 anni
D
parlami del profilo artistico del disco, insomma cosa avete fatto e cosa volete esprimere
R
il supergruppo si chiama Milliseconds in Between, il romanzo si chiama Millliseconds in Between e il disco si chiama Milliseconds in Between >
ora, avremmo potuto fare i brillanti e pubblicare questo disco come se fossimo i Milliseconds in Between, costruendo delle identità virtuali, ma era troppo casino, e in ogni caso questo disco rimane un disco dei [dK] >
inventare un gruppo virtuale che suona come i [dK] non avrebbe avuto molto senso
D
quindi tutto sto giro per arrivare a dire che si tratta del solito disco dei [dK]?
R
è un disco dei [dK] ma non si tratta del solito disco dei [dK] perché, come dicevo prima, il fatto di essermi trasfigurato in qualcuno molto diverso da me e che vive in un contesto molto diverso dal mio mi ha indotto a fare le cose in modo diverso, con un’ispirazione diversa, con altri vincoli e altre viste >
considera che le canzoni le ha scritte Dana, la ragazza >
R
ecco, appunto, parlami di questa ragazza
D
Dana non ha più i genitori e ha seri problemi di salute, usa la creazione artistica come terapia di sopravvivenza >
Dana è molto generosa verso le persone a cui è affezionata e vive i sentimententi in modalità costantemente amplificata, come avere il loudness dello stereo sempre su On >
conosce molto bene gli altri due ragazzi e quindi scrive anche dal loro punto di vista >
questo passaggio è importante: attraverso la sua generosità emotiva riesce a diventare l’amplificatore dei suoi compagni, che altrimenti sarebbero degli individui relativamente disadattati e poco comunicativi >
Debian, cantante e frontman della band, talmente salutista, palestrato, metrosexual e competitivo da diventare un sociopatico >
Ghee, individuo estremamente intelligente, talentuoso e capace da far diventare il suo “saper fare” un’ossessione spinta all’estremo verso l’ottimizzazione ed il controllo di tutti gli scenari possibili >
insomma questi tre ragazzi, ognuno a proprio modo, vivono delle profonde psicosi nella quotidianità di uno scenario pre-collassamento dei sistemi, in cui la quasi totalità della popolazione è in uno stato di severa dipendenza da farmaci, il sistema economico è dominato dall’industria farmaceutica, e la principale dinamica occupazionale è l’assistenza sanitaria dei più giovani verso i più anziani, che sono i detentori del reddito residuo
D
per un attimo ho pensato che potesse essere un disco meno oscuro dei precedenti, ma è stato solo un attimo
R
in realtà è un disco più vitale dei precedenti, perché gli autori sono comunque dei giovani, che si adattano anche agli scenari più difficili e che hanno uno slancio naturale verso il riscatto, e anzi la creazione artistica ha bisogno di uno stato di crisi per svilupparsi totalmente >
sicuramente è un disco più immediato, più semplice e più sentimentale >
è un disco che ha molta dinamica, ci sono momenti molto veloci con melodie e ritmi incisivi, e momenti più sfumati ed atmosferici, un po’ come una colonna sonora, appunto
D
spiegami più concretamente come sono le canzoni
R
sono dei flash che Dana lancia sui suoi stati d’animo, ma anche sugli stati d’animo di Debian e Ghee perché, come ho detto prima, lei riesce ad assorbire le esperienze e le sensibilità di tutti e le esprime in versi e melodie minimali, questo è il processo creativo di Dana >
ad esempio la prima canzone che abbiamo proposto ha come protagonista Debian, il cantante e performer, ed esprime la sua euforia durante un’esibizione nel locale di culto della loro città, un’euforia immaginata, perché i Milliseconds in quel locale non ci hanno ancora suonato e magari non ci suoneranno mai >
la canzone si intitola Control ed esprime la voglia irrefrenabile di una personalità egocentrica di dominare e conquistare il suo pubblico >
un’altra ha come protagonista Ghee, si intitola Lowering of All Complexities: Ghee, proprio per il fatto di avere la potenzialità di comprendere in profondità molte cose, non riesce a gestire il fatto non poter avere il controllo e la visione su tutte le cose >
questa frustrazione ed ansia latente lo portano ad andare in over, e la canzone esprime proprio questo suo moto mentale perpetuo, questo suo refresh continuo alla ricerca dell’informazione assoluta ed aggiornata al millisecondo; è un pezzo molto veloce con un ritornello che a un certo punto si apre e dice — dovrei dormire, dovrei calmarmi, dovrei rallentare il battito e raffreddare il sangue, l’abbassamento di ogni complessità
D
tutti i vostri dischi si chiudono con una canzone estremamente cupa, da Best Pain ad Electricity of Pain, fino ad Exposed to Pain (Untill the End): anche stavolta siete stati in grado di infilare la parola “pain” nel titolo del brano che chiude il disco?
R
il brano che chiuderà Milliseconds in Between si intitola One More Time Ghosts, e in effetti non è una canzone rassicurante, ma se vogliamo parlare di canzoni estremamente cupe, al di là del fatto di non contenere la parola pain, credo che la canzone giusta sia Not the Way Lovers Do: una delle canzoni più ineluttabilmente tristi che io sia mai riuscito a scrivere
D
avverto una certa fierezza in questa tua affermazione
R
si anche se la canzone l’ha scritta Dana, ovviamente, a proposito di un suo disagio >
bisognerebbe aver letto il romanzo per averne un’idea
D
prova a parlarmene lo stesso
R
il sentimento descritto dalla canzone nasce dal rapporto ambiguo che c’è tra Debian e Dana: non sono amanti, neanche nella fantasia, perché lei è troppo sofferente e lui è troppo preso da sé stesso; però sono legati in modo intrinseco, come se fossero uniti all’origine da un matrice comune >
non hanno mai analizzato il loro rapporto, lo vivono e basta >
comunque, a un certo punto della storia Debian fa una cosa molto grave, che deluderebbe Dana irreversibilmente se lei lo venisse a sapere >
in realtà Dana non sa cos’ha fatto Debian, però avverte distintamente e profondamente questa delusione >
da lì in poi il loro rapporto cambia e il legame si scioglie, sebbene la stessa Dana non capisca razionalmente perché questo accada >
un verso della canzone dice — è come se tu mi avessi tradita, ma non nel modo in si tradirebbero due amanti >
in realtà il tipo di tradimento è ancora più grave, questo è il punto >
la verità è che Debian e Dana sono fratelli cosmici, uniti dalla città in cui vivono, dagli anni in cui vivono, dalla musica che ascoltano e dalla musica che fanno insieme, e dalle sofferenze individuali che entrambi superano, semplicemente condividendole ed aiutandosi >
questo è il punto >
quando uno dei due tradisce irreversibilmente questo patto implicito, il legame si scioglie e la costruzione collassa >
traslando la vicenda a livello più ampio: ogni volta che che un essere umano tradisce il patto di fratellanza che ha con un altro essere umano, ogni volta che gli individui rinunciano alla potenzialità di vivere insieme, e di vivere meglio insieme, di quanto vivrebbero semplicemente pensando a loro stessi, i legami si sciolgono e il sistema mondo collassa >
questo è il motivo per cui ritengo Not the Way Lovers Do una canzone estremamente triste, perché parla di questo tipo di tradimento, che in definitiva è alla base dell’imminente collassamento dei sistemi umani
D
voi siete considerati, assieme ai Tiamat, la band di Christian Rock più influente nello scenario attuale: non hai mai chiarito se la cosa ti lusinghi o ti infastidisca
R
non saprei, sicuramente mi lusinga l’accostamento coi Tiamat perché i Tiamat hanno regalato all’umanità canzoni patrimonio dell’Unesco >
più semplicemente, come ho già detto altre volte, noi siamo abbastanza dei grezzi, a volte bestemmiamo anche, però gesù cristo l’abbiamo capito meglio noi di molti altri
D
ci sono canzoni che considerate forti su cui volete puntare?
R
Control è la canzone che io preferisco in assoluto, per motivi che non riesco a definire: è atipica, carismatica, atmosferica, impressionante, senza paura; poi c’è il brano di apertura, Switch On, che è un pezzo incredibile a mio parere, anche Swith On mi piace molto >
Switch On è un brano scritto dal punto di vista di Ghee >
parla del momento in cui l’intelligenza umana accede ad un nuovo dominio di conoscenza, e descrive l’eccitazione misurata per un nuovo inizio, per qualcosa di nuovo che si accende — discontinuità, rivelazione, elementi sconosciuti, accendi, la mia mente percepisce un’espansione inattesa, nuovi recettori rimasti sino ad oggi dormienti, sono stati attivati, accendi
D
canzoni che ti piacciono di meno?
R
potrei fare il brillante e dirne una a caso per indurti a ritenere che sono uno che fa autocritica e che si mette in discussione, ma in realtà ti dico che sono tutte canzoni che me lo fanno venire estremamente duro >
To the Edge od a Millisecond, scritta dal punto di vista di Debian, un pezzo da mettere in macchina mentre stai percorrendo una strada panoramica, che dopo averti fatto superare un passo montagnoso declina bruscamente verso l’oceano >
un pezzo che parla di individualismo, di estraneamento al sistema, un pezzo del tipo “andate tutti affanculo, io mi chiamo fuori, fate voi che sapete” >
One More Time Ghosts, di cui parlavamo prima, un pezzo molto severo e d’atmosfera, che descrive uno dei tipici momenti di ansia di Dana — tu cerchi di non fare errori, ma gli errori comunque accadono, ti rendi conto che così le cose non possono continuare, ma le cose continuano ad andare nello stesso identico modo
R
molto bene, concludi pure dicendo quello che ritieni e chiudiamo l’intervista
D
ascoltate questo disco e fatevelo piacere, senza troppe stronzate – Peace, Love and Melancholia
Domanda (D)
perché avete deciso di realizzare e rilasciare del nuovo materiale?
Risposta (R)
non vorremmo, ma accade >
è qualcosa di patologico, tipo l’alcolismo, fumare crack o qualsiasi altra dipendenza >
D
prova a spiegarti meglio
R
abbiamo cercato di smettere, sappiamo che non serve a nessuno, non serve al nostro pubblico, non serve al nostro non-pubblico, non serve a noi stessi >
però lo facciamo >
non c’è una prospettiva di utilità o di convenienza in tutto questo >
accade
D
anche se non riuscite ad astenervi dal realizzare musica, potreste sempre tenervela per voi, cosa vi spinge a manifestarla agli altri?
R
in effetti questo è un punto controverso >
non lo so >
forse è una forma di egocentrismo >
se vivessi su un’isola deserta non concepirei neanche l’idea di scrivere una canzone, l’atto di scrivere una canzone non esisterebbe senza una prospettiva di condivisione >
nello scrivere canzoni e nel creare musica c’è una componente di dono verso gli altri, c’è l’ambizione di voler fare una piccola differenza nella vita delle persone
D
dunque si tratta proprio di egocentrismo: non ti viene il dubbio che il tuo così detto “dono” sia qualcosa di cui gli altri non hanno bisogno?
R
si >
ed è più di un dubbio: a livello razionale è una certezza, tuttavia a livello emotivo è qualcosa che tendo ad ignorare, o quanto meno a sottovalutare, perché altrimenti smetterei di fare musica
D
quindi, se ho capito bene, da una parte vorreste smettere di suonare, ma dall’altra mentite a voi stessi pur di procurarvi gli stimoli che servono per continuare a fare musica?
R
è esattamente così
D
molto bene, delineato il contesto, adesso parliamo di questo materiale nuovo
R
qualche tempo fa scrissi una specie di romanzo breve, un esperimento, l’ho fatto con l’intenzione precisa di farci una colonna sonora >
in realtà è un romanzo scritto per essere trasposto in un film: in questo senso parliamo di colonna sonora > più specificatamente, il nuovo disco dei [dK] è completamente ispirato ad una storia e ai protagonisti di quella storia
D
quindi si tratta di un concept?
R
qualcosa di più: i protagonisti della mia storia sono tre musicisti, che vivono in un futuro prossimo, e le loro canzoni, concretamente, costituiscono il nuovo disco dei [dK]
D
voi tre proiettati nel futuro quindi?
R
no i tre protagonisti della storia non hanno nulla a che vedere con noi tre, nel senso che sono molto più fighi, o quanto meno più interessanti
D.
parlami di loro
R.
allora questi tre individui sono i componenti di quello che nel mio immaginario di musicista dovrebbe essere un supergruppo >
un super gruppo deve esistere nel futuro, un futuro non lontano, ipotizziamo tra 20 anni >
un super gruppo dev’essere composto da giovani adulti, ipotizziamo tre, di circa 25 anni >
i componenti di questo super gruppo devono essere piuttosto diversi tra loro, ma devono avere un legame forte: qualcosa di apparentemente labile e inspiegabile, ma che in realtà agisce a livello molecolare, a livello di sistema >
uno di loro deve essere dotato di sensibilità estrema e umanità profonda, magari una donna >
un altro deve essere assurdamente egocentrico, carismatico, grottesco, inquieto >
l’altro ancora dev’essere un genialoide, uno capace di avere grandi visioni, un maniaco del controllo >
evidentemente si deve trattare di tre artisti, di tre persone complicate, di tre persone in qualche modo danneggiate
D.
quindi, in termini pratici, avete finto di essere altre persone per realizzare questo disco?
R.
si invecchiando si fatica sempre di più a parlare si sé, in particolare se il rapporto con l’umanità non è buono, quindi estraniarsi e interpretare qualcun altro è qualcosa che ti toglie vincoli e che ti dà stimoli
D.
e il sound, è un sound futurista dal momento che parliamo di futuro?
R.
no non credo che tra 20 anni la tecnologia potrà dare ulteriori svolte al modo di fare musica >
già oggi molti musicisti evitano deliberatamente l’utilizzo di certa tecnologia perché ritenuta distorsiva di un naturale processo creativo >
riguardo al suono del futuro o al suono del passato, ritengo che queste siano abbastanza delle stronzate, specialmente oggi, e specialmente domani >
aveva senso parlare di queste cose all’epoca dei Krafwerk, in un momento in cui una novità tecnologia o metodologica poteva realmente incidere sui processi creativi e realizzativi >
quello che ho immaginato io, in particolare immedesimandomi in tre ragazzi quasi adulti in un’era pre-collassemento dei sistemi, è che il modo di esprimersi sarà molto più essenziale, senza congetture e senza ridondanze: testi minimali, sinceri e diretti, pochi suoni ma buoni, beat incisivi e riff fulminanti
D.
in questo futuro che immagini la musica tornerà ad essere importante per le persone, vale a dire qualcosa al di là dell’intrattenimento, sei ottimista in questo senso?
[to be continued]
“Thank you for your email, and I understand what you mean.
Your album is good, that is sure, I agree with you.
What we didn’t put in the list of reasons, is that basically we need tracks that will sell. And we realized that tracks with a somber/dark mood usually doesn’t sell that much, so our conditions of acceptance changed.
That being said, I talked to my manager about it and we decided to accept the album and see if it works.”
Per ragioni di attualità e popolarità, comincerò a trattare il secondo argomento.
L’industria alimentare ha cominciato a ritenere che l’olio di palma sia un nutriente scadente o, meglio, ha cominciato a ritenere che nell’immaginario dei consumatori l’olio di palma abbia assunto il ruolo di nutriente scadente.
Quindi chi lo usava, ha smesso di usarlo e lo esplicita nella pubblicità.
Chi non lo usava, continua a non usarlo e lo esplicita nella pubblicità.
Il motivo per cui la gente abbia cominciato ad essere sensibile all’olio di palma è qualcosa di profondamente misterioso, qualcosa che ha una dinamica complessa e inarrivabile tipo quella che determina o meno il successo di una canzone pop.
Chi frequenta questo blog sa che qui la mission è l’esplorazione del legame (a più livelli) che esiste tra musica e nutrizione.
Una canzone diventa popolare perché piace alla gente, quindi viene richiesta per radio, condivisa sui social network fino ad essere massivamente diffusa e conosciuta?
Oppure una canzone diventa popolare perché viene trasmessa ossessivamente in radio, in tv, esposta e suggerita su Itunes e Spotify e, alla fine, alla gente piace o, meglio, la gente la riconosce?
Questo mistero vale almeno quanto quello dell’uovo e della gallina.
L’industria alimentare ha captato inequivocabilmente il fatto che l’assenza di olio di palma sarebbe stato un fattore determinante per assecondare il gusto del consumatore (che ha autonomamente formato un’opinione al riguardo)?
Oppure, in una prospettiva macro-economica di medio-lungo periodo, l’industria alimentare ha ritenuto che fosse profittevole switchare verso delle alternative e, già che lo faccio, me lo vendo come elemento qualitativo che dovrebbe garantirmi un vantaggio competitivo?
In effetti, da 10 anni a questa parte, basta scrivere/dire milioni di volte ‘senza ingrediente X’, per indurre la gente a ritenere che l’ingrediente X sia un male: perché uno pensa ‘se fosse una cosa figa, mica la toglierebbero’.
E non è un discorso di popolo bue, è un discorso che la gente ha mille cazzi per la testa e non sta a farsi domande su ogni stronzata che non abbia un impatto immediato ed evidente sulla propria vita.
Una cosa è certa: il marketing è sempre in malafede.
Intrinsecamente.
Ed è talmente in malafede da fare quasi tenerezza.
Cioè questi qui non sanno più davvero che cazzo inventarsi, e dicono delle cose talmente insensate e goffe da fare tenerezza.
Cioè sono talmente a loro agio nella loro malafede che non fanno neanche più lo sforzo di non farsi accorgere.
In una prospettiva strettamente nutrizionale, l’olio di palma è un buon prodotto: è per metà saturo e per metà monoinsaturo, una specie di via di mezzo tra il burro e l’olio di oliva.
Al di la di ciò che si sente dire in giro, l’essere umano funziona abbastanza bene a grassi (fino al 50% delle calorie assunte possono derivare dai grassi, il resto dalle proteine e dai carboidrati); 2/3 di questi grassi devono essere monoinsaturi e 1/3 saturi. I grassi polinsaturi viceversa devono essere estremamente limitati e bilanciati tra Omega 3 ed Omega 6.
In questo contesto l’olio di palma è funzionale, ed ha il vantaggio di essere a basso costo.
Forse il problema sta nel vantaggio, quindi nel basso costo, dal momento che per ridurre il costo di produzione viene ottenuto deforestando selvaggiamente aree non tutelate, viene estratto con composti chimici non autorizzati (almeno in Italia) e lavorato sfruttando brutalmente la manodopera.
Quindi, se l’industria alimentare ha deciso di rinunciare a questo prodotto per motivi etici ed ambientali, allora posso decidere che non mi stia sui coglioni.
Tuttavia l’industria sostituisce un ingrediente a basso costo con un altro ingrediente a basso costo, a meno di non riprogettare il prodotto, anche a livello di immagine e comunicazione, e alzare il prezzo.
Quindi, le alternative all’olio di palma che posso ipotizzare sono l’olio di mais e l’olio di soia.
Le coltivazioni intensive di mais e soia stanno devastando totalitariamente il pianeta, impoverendo ed avvelenando il suolo e le falde di qualsiasi continente, Americhe, Europa, Asia perché, contrariamente alle palme che hanno bisogno di un clima tropicale, mais e soia sono coltivazioni ubiquitarie.
A parte questo, la cosa figa è che il grasso di mais e soia è quasi totalmente polinsaturo.
I grassi polinsaturi sono un nutriente essenziale, ma anche molto delicato che, oltre un soglia relativamente bassa, incide negativamente sulla capacità del sistema immunitario di modulare opportunamente gli stati infiammatori.
Quindi le alternative realistiche all’olio di palma sono peggiori dell’olio di palma.
Le alternative migliori sarebbero olio di oliva, burro e olio di nocciola; ma sarebbe come pretendere che la Ferrero facesse la Nutella veramente con le nocciole, o il cioccolato veramente col cioccolato, assurdo.
Comunque la Ferrero non mi sta sui coglioni, e non mi sta sui coglioni neanche l’industria alimentare in generale, perché parliamo di un sistema-azienda che per natura deve alimentare il proprio business e garantire una marginalità.
La Nutella è un ottimo prodotto, nel senso che è una cosa buona che ha un costo di produzione bassissimo e che viene venduta ai consumatori ad un buon prezzo.
Tutto regolare, tutto coerente ed accettabile in un contesto di mondo-sistema basato sul consumo e sul capitale.
Quello che non va bene è la malafede, cioè il marketing.
Quello che non va bene è che la comunicazione pubblicitaria dia a questi prodotti un’altra veste.
Quello che non va bene è il fattore dolosamente distorsivo introdotto dolosamente dal marketing: l’inganno.
Mettere le nocciole sul packaging della Nutella e chiamarla Nutella (dove “nut” di nut-ella significa Nocciola in americano e il prodotto nasceva per il mercato americano) non va bene, perché il grasso prevalentemente della Nutella è l’olio di palma, e non l’olio di nocciola.
Avrebbero dovuto metterci le palme sull’etichetta.
La Ferrero è di Alba, dove le nocciole abbondano, ma l’olio di palma comprato dal Brasile costa comunque molto meno.
La marginalità della Nutella nasce dall’olio di palma al posto dell’olio di nocciola.
Su questa marginalità è stato costruito un impero, in culo al chilometro zero, in culo all’eco sostenibilità, in culo agli estrattori chimici dei lipidi e in culo allo sfruttamento della mano d’opera dei paesi in via di sviluppo.
Ma va bene tutto, è tutto coerente ed accettabile in un contesto di mondo-sistema basato sul consumo e sul capitale.
Va bene tutto purché ci sia trasparenza, purché il consumatore sappia cosa sceglie e cosa c’è dietro un prezzo basso o alto.
Per avere trasparenza occorre eliminare totalmente il fattore dolosamente distorsivo introdotto dolosamente dal marketing: l’inganno.
Il marketing è sempre in malafede.
Il marketing è accademicamente in malafede.
I testi universitari di marketing teorizzano esplicitamente che la mission è amplificare il valore percepito del prodotto/servizio, oltre il valore reale per indurre una marginalità immotivata, dunque molto remunerativa; è una specie di loudness maximizer cafone che fa sentire subito la botta, salvo poi accorgersi ad ascolti più attenti che la fedeltà del segnale è compromessa.
Quindi, che adesso il ritornello senza olio di palma venga reiterato a oltranza tipo la pop song dell’ispanico di x fucktor con emma marrone, mi fa ridere i coglioni, e mi suona male come un basso andato in digital clipping.
La mia opinione è che non ci sia un motivo reale (neanche industriale o macroeconomico) per cui l’intera industria alimentare in due mesi abbia rinunciato all’olio di palma (investendo massivamente nelle campagne pubblicitarie relative); per me è più una psicosi tipo quelle che si scatenano sui mercati finanziari e s’innesca una spirale al ribasso che tira dentro tutti.
Palma, mais, soia: tutte pessime alternative nutrizionali (palma meno peggio delle altre).
Per qualche motivo si è innescata una exit strategy dalla palma, e tutti gli vanno dietro perché si cagano addosso.
TO BE CONTINUED
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